Il tempo passa, la vita scorre e, qualche volta, non ce ne accorgiamo subito. Ma oggi è un giorno adatto per fare dei bilanci (uh se mi sentisse l’insegnante di ragioneria, quanto li odiavo da studente!!)

Sei anni fa, in questa giornata, sbarcavo da un volo Finnair a Osaka. Non era la prima volta, ma questa era molto diversa da tutte le precedenti. Se prima ero sempre arrivata in Giappone da turista, impiegando al meglio il mio tempo limitato, questa volta avevo un margine di manovra molto più ampio.
E tutto questo grazie al mio visto di studio: una grossa etichetta, attaccata al mio passaporto, che diceva a tutti “lei per un anno (poi sono diventati diciotto mesi)” può restare qui con noi”.

Non sapevo che cosa sarebbe accaduto dopo questa scadenza, c’era anche il rischio di tornare in Italia e ricominciare tutto da capo: lavorare, risparmiare, comprare (un nuovo biglietto) e incontrare la persona con cui dividevo (e divido) il mio cuore.
Sì, perché – giusto per essere originali – anche io sono arrivata in Giappone per motivi sentimentali. Avevo un lavoro da insegnante precaria in Italia, ma buone prospettive nella regione in cui avevo scelto di spostarmi (il Veneto). E il lavoro mi piaceva. Ma nello stesso tempo sapevo che, anche se appagante, la mia vita così non era completa.
E io volevo andare a vivere in Giappone.


La scuola di giapponese.
Il mio primo obiettivo era quello di imparare la lingua. Avevo già fatto qualcosina per conto mio, ma ogni volta che mi fermavo in Giappone per studiare, tutto spariva come neve al sole al ritorno in Italia. Ero determinata, uno dei motivi del mio viaggio in Giappone era proprio la ricerca di una dimensione che potesse fare al caso mio: cercare di vivere in questo paese, e trovare il modo di farlo senza rinunciare alle cose che amo sia per il lavoro che per il resto.
Ma, devo dirlo, all’inizio è stata proprio dura!

Certo, non mi mancavano le lezioni private di italiano, che mi permettevano di far pratica e di costruirmi un mio modo di insegnare adatto a uno studente giapponese. Ma non trovavo il coraggio di lanciarmi nel grande mondo del lavoro… Telefonare quando si trova un annuncio, andare a un colloquio e spiegare come mai quel posto, e nessun altro, è quello a cui aspiri da tutta la vita (si fa per dire, naturalmente).
Avevo cercato, ovviamente, di propormi alle scuole di lingua, ma con scarsi risultati: le scuole privilegiano le persone che vivono più vicine, a cui devono pagare spese di trasporto inferiori, e non c’è più questa grande richiesta di insegnanti di italiano in Giappone, come qualche anno fa.
E così non sapevo bene cosa fare…
In questo punto della mia vita entra, quasi per caso, il lavoro di insegnante di italiano online. Per puro caso, avevo trovato un annuncio su una pagina web per stranieri (www.gaijinpot.com), e avevo inviato la mia candidatura. E così nell’arco di un paio di giorni mi rispondono, con la richiesta di fornire un mio account skype (“Skype? Ma che cos’è?!?”) per un colloquio introduttivo col titolare della ditta.
È stato, indubbiamente, il colloquio di lavoro più strano a cui abbia mai preso parte: vestita di tutto punto, a rispondere alle domande che mi arrivavano da Tokyo, semplicemente seduta a casa mia.
Il colloquio era andato bene, e dopo poco tempo ho cominciato a ricevere prenotazioni per lezioni! Non erano tantissime, ma da allora sono diventate un appuntamento fisso per le mie serate in casa. E non sottovalutiamo il benefico effetto rasserenante che esercitano sul mio conto in banca!
Certo, quel lavoro da solo non bastava, ma almeno avevo ripreso un po’ di coraggio.
Dopo il mio primo lavoro a contratto, ho trovato, quasi subito, il secondo: le circostanze sono piuttosto particolari, ma se volete vi racconto.
Per pubblicizzare la propria attività e cercare persone interessate a lezioni private di lingua, gli stranieri in Giappone si servono di una serie di siti dedicati proprio a questo settore.
Un giorno ho ricevuto quella che sembrava una semplice richiesta per una lezione privata. Il luogo era molto vicino a casa mia e ci sono andata volentieri. Però, e questa è stata la prima sorpresa, all’appuntamento si era presentata una persona vestita di tutto punto, che mi aveva invitata a definire i dettagli del mio lavoro “a scuola”. “Eeeeh? A scuola?”, “Devo aver capito male”. Mentre pensavo questo siamo arrivate davanti a una scuola di lingue!
La titolare mi ha spiegato, poi, che la ricerca di insegnanti italiani in zona non aveva dato nessun risultato, costringendoli a rivolgersi ai siti per lezioni online. Loro preferivano restare sul vago per fare una prima selezione dei candidati che intervistavano, ma continuo a pensare che il loro sistema non sia stato molto ortodosso!
Anche in questo caso il colloquio è andato a buon fine.
Ma pur avendo due contratti di lavoro, e molti studenti privati, questo non mi bastava per un visto di lavoro, e il mio visto studentesco stava per scadere!!
E allora, un po’ inaspettatamente, in casa abbiamo cominciato a parlare di matrimonio.
Dopo questa svolta, il resto della mia vita ha preso forma giorno dopo giorno: insegnante di italiano, casalinga nei ritagli di tempo, e – da due anni – mamma di un piccolo terremotino italo/giapponese.
Prima del parto il lavoro mi ha regalato dei momenti indimenticabili, soddisfazioni che mi hanno dato la spinta per non fermarmi mai, anche nei momenti di maggiore difficoltà (giusto per dire una cosa ovvia, lavorare all’estero e cercare di farlo nel campo che si preferisce, non è per niente facile).

Ora ho nuovi motivi di soddisfazione, da accoppiare ai risultati lavorativi in netto miglioramento.
Ho imparato a conoscere il posto in cui vivo, a risolvere i problemi che qualche volta bussano alla porta, e ho fatto amicizie vere e importanti, che sono un piccolo tesoro. Parlo con gli sconosciuti, che – per un motivo che rimane ignoto – trovano naturale rivolgermi la parola per strada: questo mi succedeva anche in Italia, e da quando ha cominciato a capitare anche in Giappone mi sono sentita veramente a casa mia.
La vita è una fatica, dormo poco e sogno una giornata tutta per me, ma se qualcuno mi chiedesse “Sei felice?” io potrei rispondere solo in un modo: “si”.
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