Instagram alla giapponese (prima parte)


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Il Giappone è un paese prevalentemente agricolo.
Lo sapete? O forse non credete che sia importante saperlo, e poi del resto… se nemmeno Godzilla nei suoi film si è mai preso la briga di distruggere una risaia ci sarà un motivo, giusto?
Il caso vuole che io abiti proprio in un centro agricolo: una cittadina di 100.000 abitanti (mi rendo conto che il numero possa trarre in inganno, ma, da quanto ho capito, in Giappone le proporzioni sono ben diverse da quelle a cui siamo abituati) nella prefettura di Nara. La zona è comunque famosa, e molto attiva a livello turistico per la presenza del Grande Budda che abita dentro al Todaiji, e di una storia millenaria che comunque si avverte facilmente quando si arriva da queste parti.

Allora, qui i conti non tornano più: una zona agricola ma frequentata dai turisti? Allora sarà sempre piena di gente? Di solito gli stranieri arrivano, visitano i luoghi turistici, e si spostano altrove.
Quando uno straniero decide di fermarsi, che genere di posto si trova davanti?
Per rispondere a questa domanda ho deciso di mostrarvi alcuni miei scatti. Tutto questo per farvi vedere un tipo di realtà giapponese che non ha niente a che fare con i grattacieli, o i quartieri dedicati alla vita mondana che si trovano nelle grandi metropoli. 
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Alla stazione!! 

Come ogni centro che si rispetti anche qui abbiamo una stazione. Non è molto grande, e non serve che una sola compagnia ferroviaria (per giunta locale) ma non ci si può certo lamentare. La cittadina ha grandi progetti per il futuro, tra cui una stazione sulla via di passaggio dello Shinkansen, e i treni sono puntuali e frequenti. 

Noi abitiamo in periferia, e quindi posso aggiungere che i servizi a disposizione tendono a diminuire non appena ci si allontana dal centro cittadino. Considerato che, in cambio, ci guadagniamo un panorama da cartolina, un silenzio ignoto a chi vive in una grande città, e un sacco di vicini chiaccheroni, rinunciare a qualche treno o a un ascensore in stazione non è poi così male!! 

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Templi, tempietti e affini.
Molte persone raccontano di un Giappone flessibile, che si adatta senza problemi alla compresenza di Buddismo e Scintoismo, e tollerante verso altre religioni che sono comunque presenti sul territorio. Alcuni pensano che questa capacità di adattamento sia il sintomo di una scarsa convinzione religiosa (insomma, va bene tutto visto che comunque non ci badano più di tanto. Si dice che i giapponesi nascano scintoisti, si sposino secondo il rito cattolico, e muoiano da buddisti: tre diversi modi di esprimere religiosità che trovano posto nella vita di media di un qualsiasi giapponese! Mica male, non credete?).
Il mio Giappone, invece, è più variegato: conosco persone che sulla religione basano gran parte della loro vita, che tengono i loro antenati in casa con loro (nel butsudan, una specie di edicola portatile in cui si offre agli antenati parte del pasto quotidiano, e dove ci si rivolge a loro nelle preghiere) e che comunque sono in grado di accettare anche coloro che rimangono completamente al di fuori della loro religione (come la sottoscritta). 
E poi, ovviamente, ci sono anche tutti quelli che, per mancanza di tempo, o di interesse, non badano più di tanto a queste cose. Ma non credo che queste cose siano una peculiarità giapponese! 

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E in tutto questo, la religione ci compare davanti ad ogni angolo di strada: tempi e tempietti, edicolette in cui si onora O-Jizō San (protettore dei viandanti, e dei bimbi morti in culla)… In ogni quartiere non manca la possibilità di sentire che non si è poi così tanto soli in questo paese (so che è un controsenso, è facile pensare che in un paese così densamente popolato come il Giappone non ci si senta mai soli, ma può capitare a chiunque ed in qualsiasi momento).

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2 pensieri su “Instagram alla giapponese (prima parte)

  1. Buongiorno, post molto interessante. Volevo chiederle: dopo quanto tempo è riuscita ad ” inserirsi ” nella società giapponese ? Presumo che la conoscenza della lingua sia indispensabile,ma oltre a quello, ha influito/aiutato il fatto di avere un coniuge giapponese ? Nota radicali differenze ” comportamentali/relazionali ” tra un suo concittadino ed un abitante di Tokyo o di qualsiasi altra grande città ? E che cambiamenti ha avuto il suo ” modo di essere ” raffrontandosi a persone che apparentemente sembrano cosi diverse da noi ? La ringrazio per l’attenzione,cordialmente Ambrogio

    • Grazie per i suoi complimenti.
      “Inserirsi” nella società giapponese è piuttosto complicato, e non si riesce a definire esattamente il momento in cui si viene accettati. Abitando lontano da una grande città potrei azzardarmi a rispondere, con una certa approssimazione: il momento in cui ci si sente un po’ meno estranei è quello in cui gli sconosciuti, perdendo la loro abituale riservatezza, cominciano a rivolgerti la parola per un motivo qualsiasi, che sia un commento sulle condizioni meteorologiche, o un complimento per il tuo bambino. Il coniuge giapponese aiuta tantissimo, ovviamente: a lui vengono delegati tutti quegli adempimenti burocratici e non che risulterebbero complicati per uno straniero alle prime armi. E quando si acquista una certa padronanza della realtà che ci circonda si puo’ procedere autonomamente, e alleviare il carico di responsabilità del coniuge: in ogni caso non dobbiamo dimenticare che un giapponese lavora per gran parte della sua giornata, e il coniuge straniero si trova ad affrontare la vita in questo paese senza aiuti per gran parte della settimana.
      Ci sono varie differenze comportamentali fra italiani e giapponesi, ma vivendo nel Kansai posso dire che il tutto risulta attenuato, e col passare del tempo ho trovato molte cose in comune con la vita in Italia (per fare un esempio, persone che ti correggono quando parli in giapponese – utilissime – e amici che ti prendono in giro quando sbagli qualcosa). Dopo cinque anni di vita in Giappone ho notato qualche cambiamento: ho perso la brutta abitudine di buttare spazzatura dove capita (la mancanza cronica di punti in cui gettare la spazzatura sulle strade giapponesi mi ha insegnato a tenerla in borsa per poi buttarla al mio ritorno a casa) e, mi sono abituata ad affrontare qualsiasi cosa con una calma che non avrei mai detto di possedere (dalle piccole contrarieta’ ai problemi seri).

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