Alla fine è successo anche a me… Porto il bambino all’asilo, faccio un giro per degli acquisti e mi preparo per tornare a casa sul mio potente mezzo di trasporto: la bicicletta! Resa più aerodinamica da un bel seggiolino posteriore, che serve a trasportare il mio prezioso tesoro in giro per il paesello (che fa circa centomila abitanti, ma che ci volete fare: siamo in Giappone).
Per capire la fisionomia del posto in cui abito, pensate ad una serie di zone che vengono unite per creare un singolo centro abitato, mantenendo comunque una loro specifica identità. L’area di pertinenza del centro abitato aumenta, ma tutte le zone sono in grado di vivere autonomamente. Io abito in un posto del genere: una zona di campagna, ricca di campi e con grandi spazi verdi, che ha l’aspetto di un (grande) paesello. Non e’ un caso raro, la prefettura di Nara e’ piena di posti come questo, ed io ormai ci ho fatto l’abitudine, non mi stupisco più di tanto.
Tornando alla mia giornata, sulla via del ritorno ricevo un messaggio sul cellulare, che mi fa arrabbiare, lo leggo e riparto, seccata (per il contenuto). Ed ecco qui, un rumore sospetto che mi fa fermare quasi un’intuizione che mi spinge a cercare dentro alla borsa.
Cerco, e mentre lo faccio la mia preoccupazione aumenta: il cellulare non c’è più!!
Che fare in questi casi? Non lo so proprio!
Torno indietro verso l’incrocio che ho appena attraversato. Nulla…
Allora mi viene un’idea: chiedere a qualcuno di chiamare il mio cellulare per vedere se si trova o se, magari, posso contattare chi lo ha trovato e mettermi d’accordo con lui.
Il primo tentativo va clamorosamente a vuoto: forse la ragazza che ho fermato pensa che sia una qualche forma di scherzo (del resto, anche io non chiamerei a cuor leggero il telefono di uno sconosciuto), ma per fortuna mi va meglio al secondo tentativo. Una mamma che ho trovato al semaforo, forse incoraggiata dalla mia bicicletta con seggiolino, chiama il cellulare e mi riferisce la risposta.
Il mio prezioso collegamento col mondo esterno è stato portato al posto di polizia che si trova a due passi! Qualcuno lo ha trovato e consegnato a un agente!
Accompagnata dalla gentile mamma, che si preoccupa anche di ricordarmi di chiudere il lucchetto della bicicletta quando arriviamo alla polizia, entro e mi siedo, salutando e ringraziando la mia accompagnatrice.
Il resto si svolge in pochi minuti: l’agente compila dei moduli che mi porge, il primo per la denuncia di smarrimento (il che fa un po’ ridere, visto che abbiamo il cellulare di fronte a noi) e il secondo per la riconsegna. E’ curioso, mi fa molte domande sull’Italia, oltre ai soliti complimenti di ordinanza per il giapponese (gentilissimi, ma non me li merito proprio: sto battendo davvero la fiacca!), e mi chiede di mostrargli il timbro col mio nome, che ho in borsa.
In questo periodo, con il mille cambi di indirizzo, necessari dopo il trasloco, ho preso l’abitudine di girare con il mio timbro: si tratta di un piccolo oggettino in legno, una sorta di bastoncino che presenta, a una delle estremità, il mio nome in katakana (*un tipo di scrittura riservato ai nomi stranieri). Viene richiesto in certi documenti ufficiali, e semplifica parecchio ogni procedura: e’ proprio un oggetto utilissimo!
Dopo avermi chiesto come firmiamo noi stranieri all’estero (“Ah, voi avete la firma!”), mi saluta con un sorrisone (chissà, magari avrà qualcosa da raccontare ai colleghi) e io torno in strada.
Ho perso del tempo, ma ho ancora il cellulare. E, per questo, non posso che ringraziare di cuore i passanti gentili e la polizia, che mi hanno permesso di ritrovare quello che avevo smarrito in mezz’ora.
Fai qualcosa di utile al mondo e condividi!